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lunedì 4 maggio 2020

A 71 ANNI DALLA TRAGEDIA DEL GRANDE TORINO A SUPERGA, IL RICORDO DI ALDO E DINO BALLARIN È SEMPRE VIVO A CHIOGGIA

Il primo maggio 1949, all'aeroporto di Linate, un signore in borghese, Iginio Ballarin, venne fatto scendere dall'aereo diretto a Lisbona, perché non aveva i documenti in regola per partire assieme alla squadra del Grande Torino. Qualche giorno prima, nel capoluogo piemontese, un giovane portiere da poco in organico, Dino Ballarin, ottenne invece -dalle insistenze del fratello difensore Aldo e dalla benevolenza del presidente Ferruccio Novo- l'insperato dono di viaggiare verso la capitale portoghese assieme al campione e a tutta la squadra più forte d'Italia, forse del mondo: una trasferta premio per la terza scelta, che mai avrebbe giocato. In quel momento, Renato Gandolfi -la riserva del grande portiere Bacigalupo- aveva salva la vita, e ancora non lo sapeva.

Furono queste sliding doors del destino a privare il calcio italiano della più forte macchina da spettacolo della sua storia, e la famiglia Ballarin (conosciuta a Chioggia per la gestione di un paio di bar in corso del Popolo) di due figli nel fiore degli anni: assieme ad Aldo, titolare e nove volte nazionale, cadde anche Dino, già portierino del Clodia di scuola salesiana, entrambi con moglie e figlie stabilite in via Torricelli. Chioggia pagò il tributo più alto alla più bastarda ingiustizia, con due bare riverite dalla città per le settimane a venire.

Aldo Ballarin era -secondo Gianni Brera- il terzino destro italiano più insuperabile di sempre, l'anno successivo si disse sarebbe andato all'Inter. Dino doveva ancora cominciare di fatto una luminosa carriera. Il più vecchio era Iginio, che a calcio non giocava ma che da sempre bazzicava l'ambiente, tanto da esservi rimasto -una volta sopravvissuto, ringraziando il passaporto senza bollo- nei decenni successivi, sulla sponda neroverde del Venezia. E fino ai suoi novant'anni (è morto nel 2011) andava ancora a vedere le partite di serie A e di serie B con la corriera del club. Un quarto fratello, Renato, che con gli altri aveva tirato i primi calci in oratorio, divenne sindaco, onorevole e pure commissario straordinario dell'Union Clodia Sottomarina.

Nel cimitero di Borgo San Giovanni da pochi anni è stata ricostruita la tomba di famiglia: i fratelli Ballarin detti Bèca, ritratti tutti e quattro assieme mentre vestono civili a qualche ricorrenza. Le loro spose di fianco, mamma Olga a vegliarli con papà Toni, che negli anni Trenta li portò a vedere la Juventus giocare a Padova, facendoli innamorare del pallone. Lo stadio adiacente reca il loro nome, ci sono le statue e le gigantografie: e una pietra, per sempre, ricorderà a chi verrà poi cosa è stato il Grande Torino, anche quando non ci sarà più chi ha visto giocare di persona Aldo e Dino Ballarin, gli invincibili, sempre uniti nella vita e così pure nella fine.

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